La crescita della digitalizzazione delle imprese, accelerata dalla pandemia, ha reso evidente il problema dello skill mismatch: una situazione sfavorevole sempre più ricorrente all’interno del mercato del lavoro.
È un fenomeno che non solo genera scarsa impiegabilità, ma che danneggia anche lo sviluppo economico globale delle imprese.
Lo skill mismatch si presenta come un disallineamento tra le competenze che i datori di lavoro necessitano e quelle possedute dai lavoratori: spesso l’offerta non manca, ma sono carenti le persone sufficientemente formate per i ruoli richiesti. Oppure, al contrario, molti lavoratori si trovano a ricoprire ruoli per i quali non posseggono le skills adeguate, generando evidenti effetti negativi per l’impresa.
In questo articolo affrontiamo l’argomento proponendo alcune soluzioni.
Cos’è lo skill mismatch e come si manifesta nel mercato del lavoro
Lo skill mismatch, la discrepanza di abilità, si intende per definizione come la mancanza di corrispondenza tra le competenze tecniche, relazionali o sociali in possesso dei lavoratori (e in particolare dei giovani in cerca di lavoro) rispetto a chi offre lavoro.
In altre parole lo skill mismatch è un fenomeno negativo che genera un profondo gap tra la domanda di competenze richieste e l’offerta delle stesse.
Si tratta di un argomento particolarmente dibattuto negli ultimi anni: l’aumento della disoccupazione, il continuo calo della produttività lavorativa registrato dalle aziende (alcuni dati a livello globale parlando di un 6% in meno), unito ad una forte inadeguatezza nei confronti delle competenze informatiche e digitali sono i principali elementi che rendono lo skill mismatch un fattore limitante per le imprese.
Queste ultime non sono tuttavia esenti da responsabilità, tanto che molte di esse sono arretrate rispetto all’evoluzione del mondo del lavoro, con il risultato di offrire posizioni lavorative talvolta occupate da chi possiede skills maggiori del richiesto a persone eccessivamente qualificate per le posizioni di lavoro disponibili.
Secondo una recente stima, in Italia, il disallineamento di competenze interessa, a livelli diversi, circa 10 milioni di lavoratori.
Lo skill mismatch, nel nostro Paese, secondo Unioncamere, raggiunge il 43% tra le professioni intellettuali, scientifiche e ad alta specializzazione. Nel mondo, invece, riguarda oltre 1,3 miliardi di persone: un dato elevatissimo che nelle previsioni viene dato purtroppo in crescita.
I fattori che contribuiscono alla crescita dello skill mismatch
Attraverso i numeri e le considerazioni appena fatte si intuisce come si tratti di un problema non trascurabile, al cui incremento contribuiscono diversi fattori.
Il mondo del lavoro, così come lo conosciamo oggi, produce rapidi cambiamenti. Di conseguenza si viene a generare una costante richiesta di nuove abilità (soft skills e hard skills a seconda dei casi) che non trovano riscontri sufficienti nella formazione e nell’istruzione proposte e strutturate dalle hr aziendali.
Lo sviluppo dell’evoluzione digitale, la nascita di nuove professioni, la spinta verso la sostenibilità sono talmente rapide che i tradizionali processi (e strumenti) di lavoro, al pari delle competenze dei lavoratori, diventano obsoleti.
Il lavoro diviene così progressivamente inadeguato di fronte al cambio di passo della tecnologia e spesso il giovane che termina un percorso di studi, o di formazione scolastica, anche di livello medio alto, non possiede le skills richieste da chi opera sul mercato.
Questi sono, tutti insieme, fattori che contribuiscono ad accrescere di fatto lo skill mismatch, andando ad impattare sull’occupabilità.
Le conseguenze dello skill mismatch per lavoratori e aziende
Che le persone siano over skilled, ovvero che posseggano più competenze del necessario, oppure under skilled, cioè meno competenti di quanto sia loro richiesto per un determinato lavoro, si vengono comunque a generare una serie di conseguenze negative che interessano sia il lavoratore sia l’impresa.
Per il lavoratore che si occupa di mansioni inferiori rispetto alle proprie conoscenze, vi è sicuramente il tema di una retribuzione inferiore.
In un caso o nell’altro, poi, si riduce notevolmente la soddisfazione lavorativa, con tutto ciò che comporta a livello di incidenza sul posto di lavoro.
Chi potrebbe inserirsi in un’azienda nella quale lavorano diversi soggetti under skilled, e possiede le caratteristiche per essere più idoneo di altri, si trova quindi nella condizione di doversi adattare a un sistema che non lo soddisfa, oppure cercare altrove una collocazione migliore e maggiormente soddisfacente.
Spesso questo esempio è alla base della cosiddetta “fuga di talenti”.
Le imprese, dal canto loro, in una gestione non corretta delle skills, perdono produttività e competitività.
Soluzioni per prevenire e gestire lo skill mismatch nel proprio percorso lavorativo
Ma esistono delle contromisure, o delle soluzioni pratiche, per prevenire il verificarsi dello skill mismatch?
Intanto sia per i lavoratori sia per le imprese è necessaria un’elevata attitudine al cambiamento. Come? Sensibilizzando i lavoratori alla formazione continua e dimostrando accuratezza nei processi di selezione.
Spesso le imprese che formano i propri lavoratori fanno ricorso a strumenti tradizionali, che non sono più sufficienti a ridurre il gap tra le necessità e quanto si ottiene in cambio
Oggi la formazione deve essere orientata su metodologie come il “learning by doing” e fortemente predisposta verso gli strumenti digitali.
In ultimo, ma non per importanza, in un mercato del lavoro che richiede competenze sempre più specifiche, la personalizzazione della formazione diventa necessaria.
Le aziende che provano a ridurre lo skill mismatch tendono oggi ad assumere persone con la giusta attitudine al cambiamento e capaci di apprendere nuove competenze: investire in una formazione orientata, moderna e costante è la strada maestra per restare al passo con i tempi.